Solidarietà, un valore ai tempi del coronavirus

Il coronavirus ha messo in crisi la nostra società, ha messo in discussione un modello di sviluppo, un’organizzazione, una gestione delle relazioni sociali.
Ha messo in crisi non solo le organizzazioni: politiche, economiche, scientifiche, ecc. ma in primis le persone.
«Abbiamo a che fare con un nemico che non conosciamo» ha detto, tra i tanti, Angela Merkel.
Già questa immagine del “nemico” ha determinato un approccio culturale non indifferente rispetto alla gestione dell’emergenza.
La parola nemico ha permesso di sostituire, rispetto alla gravità reale, tutte le false emergenze che hanno contaminato il dibattito culturale di tante nazioni, comunità e organizzazioni nei mesi precedenti.
La pandemia da virus ha generato sentimenti e reazioni che hanno messo allo scoperto le ancestrali paure dell’uomo e sconvolto le certezze di uno status che sembrava inamovibile.
Reazioni portate a contrastare la pandemia, evitare decessi, rallentare la proliferazione, contenere il contagio, evitare il collasso del sistema sanitario… dove il pubblico ha dimostrato ancora una volta di essere un vettore di universalità della cura; una risposta democratica a una pandemia che non è certo egualitaria.
Ed è da questa concezione, questa visione di un servizio pubblico a favore di tutti i cittadini al di là del business, del profitto, del falso mercato che lascia i danni alla collettività per incrementare i propri profitti, che si è riproposto un tema caro a chi ha scelto di credere nella filosofia del terzo settore in generale, … parliamo della solidarietà.
Intanto ribadiamo una definizione di solidarietà che faccia luce su false concezioni di questo principio, presa in prestito dalla Regione Emilia Romagna, in merito a “L’economia e le politiche di welfare in tempo di crisi”. Vi troviamo enunciato che: ”Nei servizi di prossimità gli utenti si abituano ad essere anche produttori, stabilire rapporti di partnership con i professionisti, ma anche con le istituzioni circostanti. In altri termini, si promuove cittadinanza attiva e si democratizzano i rapporti sociali”.
Quando parliamo di solidarietà, quindi, apriamo uno scenario fatto di similitudini e interpretazioni proprie del significato attribuito alla parola.
Con solidarietà entrano in gioco il soccorso, l’aiuto, la disponibilità, la carità, il dono, il sostegno, la vicinanza, il conforto e tantissimi altri sinonimi.
Solidarietà è quindi un agito dell’uomo e della donna verso gli altri uomini e donne; volendo dare una consapevolezza più alta a questo potremmo citare Papa Francesco con un pensiero ancora più ampio “La solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune “.
Solidarietà è quindi un’azione che si guarda intorno ma, perché vogliamo essere solidali?
Un passaggio importante è il riconoscere che, da una parte, ci viene chiesto di essere responsabili verso gli altri, a quello che ci sta intorno, in nome del nostro appartenere al genere umano e a una casa comune, come il mondo in cui viviamo.
A contraltare non possiamo ignorare che la ridondanza, l’esasperazione della comunicazione sociale, dell’informazione, l’abuso di termini come emergenza, problema, allarme, ha portato a uno svilimento, alla banalizzazione del significato di queste parole e delle risposte a esse collegate.
Non dobbiamo permettere che questo divenga una perdita di motivazione, di impegno nei momenti difficili ed è innegabile che quello che stiamo vivendo lo sia.
E’ una società di welfare globale, quello che auspichiamo, è un contesto di diritti per tutti e tutte che, in questo caso, hanno all’orizzonte vicino una vera emergenza: il COVID-19.
Il coronavirus ha costretto gli Stati e le comunità a sperimentare percorsi di limitazione delle libertà personali finalizzate al contenimento del virus, ha introdotto un principio di lontananza fisica come barriera per tutelare le persone più fragili e permettere al sistema sanitario di salvare vite umane.
Il virus non è democratico! Diverso è gestire la quarantena in una città che in campagna, diverso il condomino dalla villetta con giardino, diverso se hai famiglia o sei solo, diverso se sei una persona fragile, diverso se sei giovane o anziano…insomma esistono differenze!
Sono in queste differenze, in questa miriade di situazioni particolari che, a fronte delle complicanze da infezione, trova respiro la solidarietà.
E sono tanti i contesti di solidarietà: in famiglia, in coppia, tra amici, tra persone, di comunità, al lavoro, di nazione e anche internazionale.
Solidarietà come risposta, solidarietà come opposizione, solidarietà come azione, solidarietà come strategia per contrastare il peggio,
Il coronavirus ha fatto emergere nuove fragilità e consolidato le esistenti.
Gli anziani, le disabilità, le persone in precarie condizioni fisiche o psicologiche, i bambini, i giovani sono quelli che hanno patito a livelli diversi le conseguenze. Non solo il rischio salute e il dilemma sanitario conseguente che ha coinvolto e messo in discussione il sistema sanitario, ma anche l’isolamento fisico, erroneamente proposto come sociale, la separazione dal mondo del lavoro, le nuove forme di relazioni, la lontananza.
Nella prima fase l’informazione parziale e contraddittoria non ha rappresentato un problema, il livello di consapevolezza legato alle necessità del contenimento del contagio per proteggere e proteggersi, ha permesso di abbassare molto il picco della trasmissione del virus e delle sue conseguenze. Col perdurare della quarantena e il prolungamento del contenimento, la percezione che non sarebbe stata una passeggiata, “un’influenza”, ha preso sempre più piede e con essa la consapevolezza che questi cambiamenti avrebbero portato a un’altra normalità, che quello che avevamo lasciato non si sarebbe più rappresentato allo stesso modo.
Questa incertezza ha penalizzato gli studenti e il sistema scolastico in modo diverso, accentuando le diseguaglianze nei percorsi di apprendimento e introducendo un nuovo aspetto delle povertà: quella digitale. Se le lezioni on line hanno, per alcuni segmenti del sistema scolastico, tamponato la dimensione della didattica, dall’altra hanno evidenziato che per una serie di problemi e non ultimo un’arretratezza del cablaggio delle reti informatiche, non a tutti è stato possibile connettersi e seguire le lezioni.
La quarantena ha evidenziato e accentuato le disuguaglianze alle opportunità di apprendimento e di socializzazione.
Se la scuola è stata uno degli scenari problematici della pandemia, la famiglia è stata una delle risposte.
Il venir meno del welfare che ha accompagnato le nostre società in questi anni fatto di servizi legati agli orari del non scuola, di centri giovani, oratori, società sportive, del campetto piuttosto che del parco, ha attivato, volenti o nolenti, i nuclei familiari trovare risposte a questa improvvisa, enorme quantità di tempo da passare insieme.
Insieme, perché il coronavirus nella maggioranza dei casi ha costretto i nuclei familiari, le coppie a permanere per interi giorni sotto gli stessi tetti.
Non sappiamo quanto questo abbia influito su situazioni di complessità e debolezza relazionale. Sappiamo come hanno reagito i nuclei familiari grazia alla dimensione social.
Sappiamo che le ricerca di soluzioni ha attivato percorsi in rete che hanno coinvolto educatori, scuole, psicologi, famiglie, amici e bambini.
Sappiamo che la tecnologia ha supplito alla carenza di fisicità delle relazioni.
Sappiamo che la casa ha rappresentato sicurezza, dove la chiarezza delle relazioni ha dato risposte alla paura, all’incertezza della situazione.
Sappiamo che, dove la dimensione genitoriale ha aiutato i giovani a trasformare telefoni e tablet in nuovi canali di relazioni, il momento particolare ne ha avuto giovamento.
Dove invece il singolo è entrato a far parte del popolo dei leoni da tastiera, rincorrendo i post degli altri, sostenendo la competizione, l’invidia, la rivendicazione fine a sè stessa, questo non ha aiutato ad affrontare la situazione, a vivere la transizione, a immaginare un futuro.
Le case, le abitazioni hanno rappresentato una risposta, coercitiva ma universale.
Le case sono diventate il luogo delle relazioni umane.
Le case sono diventate il luogo dell’incontro.
Le case sono diventate il luogo del confronto, della riscoperta l’uno dell’altro.
Le case sono diventate il luogo delle difficoltà vissute, giorno per giorno.
Le case sono diventate il luogo della prima forma di solidarietà: quella degli affetti.
Le case dovunque, le abitazioni comunque, le persone sempre, indipendentemente dal tipo di “famiglia” che condividono.
La famiglia, quindi, come, una delle tante forme e luoghi della solidarietà.
Data per scontata, nei nostri contesti fatti ancora di reti sociali e familiari consolidate o comunque presenti, assume altre forme dovunque guardiamo con gli occhi alle molteplicità di relazioni, di famiglie allargate esistenti e frammentate nei diversi luoghi dei vissuti.
Famiglia, famiglie, luogo degli affetti, spazio delle soluzioni, dell’affrontare insieme i problemi, dell’accoglienza, della spiegazione, dell’aiuto.
Ma si è incontrato anche una rappresentazione di famiglia che travalica gli spazi dell’abitazione arrivando al quartiere, al condominio, alla strada: un contesto fatto di persone legate dal rispetto, dall’attenzione all’altro.
Famiglie di persone capaci di aiutare l’anziano solo nella spesa o solamente presenti per scambiare, attraverso la mascherina, una parola, persone che nel limite della sicurezza necessaria si prestano a servizi di babysitteraggio, animazione, aiuto in cucina, pulizie, condividendo momenti e prodotti della creatività con altre persone in svariate condizioni di difficoltà.
Famiglie come luoghi per soluzioni immediate che rispondono allo stress del non avere un lavoro, un introito, all’incertezza del futuro, dell’accentuarsi del precariato.
Famiglie come risposte alle angosce delle professioni del sanitario e del sociale, a prevalenza femminile, dove la paura di contagiare gli affetti si sovrapponeva a turni estenuati e dolorosi.
Famiglie e solidarietà!
Ma esiste un nuovo concetto di solidarietà’?
Sicuramente se basato sulla paritarietà delle relazioni, che va oltre l’enunciato della Costituzione, più legata a un ordine di rapporto tra cittadino e stato.
Quello che immagino è un rafforzamento della dimensione orizzontale delle relazioni, quelle indirizzate a dare attenzione agli altri che ci stanno intorno.
Persone in difficoltà, limitate, fragili, bisognose di aiuti.
Solidarietà a tutto tondo come risposta alle emergenze.
Solidarietà a 360 gradi come desiderio di una nuova società.
Solidarietà come nuova relazione.
Solidarietà come attenzione a quello che ci sta intorno e nuova occasione di incontrare l’altro.
Solidarietà e diritti, solidarietà e convivenza, solidarietà come cemento di un nuovo modo di essere società, nel rispetto del significato stesso della parola.
Solidarietà e sostegno reciproco, coesione, sperimentazione di percorsi di rispetto con tutto il vivente: persone, ambiente, assistenza e ricerca di percorsi diversi di mutuo, auto aiuto.
Perché l’esperienza della quarantena è stata di tutti, perché il futuro è di tutti, perché è possibile un nuovo modo di stare in relazione.
Emerge la centralità delle persone nella ricerca di percorsi virtuosi, attente al territorio, al modo di produrre, al rispetto dei ritmi e del lavoro degli individui, persone, attente alle trasformazioni, capaci di dare senso e divenire percorsi esperienziali di crescita.
Solidarietà è prestare attenzione ai luoghi e alle persone, ridare identità al territorio e ai produttori locali, recuperare il rapporto di buon vicinato e di senso delle relazioni.
Non fa differenza che tu viva in città o campagna, la solidarietà come stile di risposta alle emergenze è una buona pratica e, proprio perché attenta alle fragilità delle persone, capace di incidere e dare risposte reali dove si manifestano i problemi.
Quello che ne scaturisce è una società resiliente, che fa della capacità di adattamento il suo elemento distintivo, una società capace di mutua assistenza, una società dove il senso di fraternità assume il valore più alto con la consapevolezza che siamo tutti parte di UNO.
Buona Vita, aprile/maggio 2020

Vincenzo Bottecchia